Circa un mese fa ero davanti alla tv ad assistere ad una serata di beneficenza: l'Inter stava regalando tre punti alla Juve. Al quarantatreesimo del secondo tempo, circa un paio di minuti prima che Eto'o deblattizzasse la traversa, andò via la luce. Proprio tutte le luci, di tutto l'isolato. Insomma, non è una bella cosa al 43esimo del secondo tempo.
Tuttavia se qualcuno ha deciso di tirarti uno scherzo del genere, sicuramente l'ha fatto per godersi la tua reazione. Quindi perché accontentarlo? Accennare un sorriso a mezza bocca, sospirare, battere i palmi delle mani sui braccioli del divano in segno di resa. Una fine dignitosa.
C'era da riorganizzare mentalmente quel che restava della serata, eliminando tutto ciò che si aveva intenzione di fare che dipendesse dall'elettricità (computer a lungo termine, tv, phon mentre si fa il bagno, osservare una lampada come quella della foto. Ad avercela.). Il programma inevitabile era così scandito: avrei portato giù il cane, fumato una sigaretta sul balcone contemplando il Golfo di Taranto con aria pensosa un filo malinconica, respirato, letto a lume di candela.
La maggior parte delle sere, Maggie non vuole passeggiare molto: pianta le zampe e chi s'è visto s'è visto. E dire che in quell'occasione non mi sarebbe dispiaciuto risalire lentamente con lei tutto il lungomare fino al ponte girevole, magari liberarla all'altezza della rotonda per farla scorazzare un po'. Mi sarei goduto l'aria tiepida che veniva dal mare e il vento leggero: anche Taranto sa essere impagabile (e forse è proprio per quello che è che così difficile che le cose si smuovano, qui). Niente: ha piantato le zampe. Vabbè, l'avrei riportata su e poi la passeggiata me la sarei fatta da solo: cazzi tuoi Maggie.
Successe mentre, nel buio, risalivamo insieme le scale del palazzo fino al sesto piano. Sentivo i suoi passettini precedermi e fermarsi su ogni pianerottolo per aspettarmi. Ma ancor più sentivo il mio respiro farsi a poco a poco più affannoso e il mio sguardo fissarsi su un punto a caso del buio: ero entrato in quello stato di momentanea trance che è un mio marchio di fabbrica, non solo quando faccio sei piani di scale.
Di colpo, febbraio 2011 non era più febbraio 2011. Via Acclavio a Taranto non era più la via e Maggie aveva assunto sembianze umane, parlava e rideva.
Era settembre 2003, via Riva di Reno a Bologna, Lo zio o forse Palminto o forse entrambi salivano le scale con me. Era la notte del blackout che per ore mise in ginocchio (ancora di più?) l'intera Italia.
In un freezer, dentro una cucina dalla forma improponibile, dentro un appartamento irto di segnali stradali, c'era una (due?) bottiglia di spumante che ci aspettava. Dovevamo solo prenderla e tornare in strada con gli altri a festeggiare. Perché il 28 settembre 2003 era anche il giorno del mio ventitreesimo compleanno.
Non ricordo assolutamente i dettagli della nottata, proprio per niente. Non saprei neanche dire esattamente chi c'era: sicuramente Lo zio, Palminto, Elena, Julia la catalana e Suzana la galiziana, quasi certamente anche Danilo e chissà chi altro.
Ricordo che prima andammo a una dancehall alla Kasbah, poi, il tempo di tornare e tutto era buio. Ricordo le scale di via Riva Reno, ricordo kulungele e che festeggiammo in via Righi. Non molto altro.
Però è ancora viva dentro di me quella sensazione, che ritorna ogni volta che le luci vanno via: l'illusione che tutte le luci di Bologna e d'Italia fossero spente per celebrare degnamente l'eccellente prodotto di Adolfo e Lucia.
Posso assicurare che trattasi di meravigliosa sensazione, soprattutto se sei uno che si accontenta di poco.
Così: stai buttato lì in mezzo alla strada, circondato di gente appropriata, ti alcolizzi e festeggi mentre tutto intorno è buio e anche l'intorno di quell'intorno è buio. Una situazione in cui persino la logorrea dello Zio diventa un piacevole sottofondo musicale.
Un ultimo desiderio mi attraversò la testa: che dal cielo scendessero un paio di elicotteri Apache, di quelli in cui il pilota alza il pollice quando vede gente che lo saluta da terra, per depositare dolcemente, appesa a dei robusti cavi d'acciaio, una megatorta con 23 candelone al centro di Piazza 8 Agosto (eravamo lì vicino, altrimenti avrei preferito nettamente piazza S. Stefano).
Beh, questo non successe e devo dire che ne rimasi un po' deluso. Lì ebbe fine la mia megalomania.
Per ricominciare il giorno dopo.
p.s. agevolo traccia musicale del Presidente.
p.p.s: in realtà, quando la luce è andata via durante Juve-Inter ho iniziato ad agitarmi sul divano, poi mi sono affacciato alla finestra cercando di captare dagli altri isolati eventuali esulatnze che mi facessero capire qualcosa, poi ho telefonato a mio fratello Roberto a Roma per farmi raccontare per filo e per segno gli ultimi 5 minuti di partita. Ecco, in effetti è andata così. Ma mi piaceva l'idea della fine dignitosa.
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