martedì 8 febbraio 2011

L'aria fra le dita (cap. 4)


A. Skujina, Le ombre di Bologna, 50x30, olio su tela, 2008
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- Capito come si fa un eccelso ragù? Usa lo scalogno, non la cipolla. E il soffritto fallo metà olio e metà burro. Ma non burro comune. Usa il lurpak danese, leggermente più salato. Fallo assaggiare a Sandro, poi mi dirai…-

Anche questa volta Diego le aveva rifilato una “eccelsa” chicca culinaria. Erano quasi sempre ottimi consigli, di una mente tortuosa e logorroica. Ma non capiva perché ogni volta le diceva di farlo assaggiare a Sandro, per avere un giudizio sulla bontà del consiglio…lei non ne era capace? Mah? Forse queste in Diego erano solo reminiscenze del sud, che aveva lasciato quasi vent’anni prima. Come ovvio non del tutto.

Comunque Diego le voleva un gran bene. L’aveva conosciuto quattro anni prima, quando lui gestiva un bar in via Paradiso. Aveva capelli neri arruffati, il viso scavato e dei baffi tipo Frank Zappa, al quale effettivamente somigliava non poco. Proprio da quella somiglianza era nata la loro amicizia: nel suo bar campeggiavano quadri jazz e foto rock: fra queste quella di Zappa a petto nudo. Era chiaramente Zappa e non Diego, ma i suoi amici dovettero faticare un bel po’ per cercare di farle capire che quello nella foto non era il proprietario del locale. Non ci riuscirono e lei si fiondò al bancone per chiederlo all’interessato. Diego rise di gusto e la ammorbò per venti minuti con storia e aneddoti su Zappa, a lei che era cresciuta a pane e Baglioni. Era difficile capire sempre bene quello che diceva, perché iniziava le frasi con dei toni altissimi, quasi urlati, che poi faceva inesorabilmente scendere finché le sue parole diventavano quasi incomprensibili. Quello fu il primo dei tanti attacchi di logorrea di Diego che di lì in poi avrebbero condito la loro amicizia. Quando lui fu costretto a chiudere il bar, rovinato da ordinanze comunali restrittive sugli orari, le venne naturale proporlo a zio Luca, rimasto vedovo da poco, come aiutante nel suo negozio di vini in via San Felice. Era molto orgogliosa di aver combinato quel matrimonio perché l'amico era felice e zio Luca anche, nonostante mandasse affanculo Diego ogni cinque minuti. Ma ne apprezzava quella che per lui era la qualità più importante, facile rivelatrice: capiva il vino.

- Mia nipote!- Zio Luca irruppe nell’enoteca rombando come al solito e salvandola da tutte le varianti di pasta con i peperoni di Diego.

Prima di abbracciarla, come sempre, scelse il vino da stappare.

 

- Dunque...dunque...ci beviamo questo. Niente da dire-


Quando un vino gli piaceva molto, era sempre questo il suo commento. “Niente da dire”. La strinse baciandola sulla tempia sinistra e intimò a Diego di tagliare un po’ di pecorino. .

Sul vino davvero niente da dire. Lo sapeva, l’aveva scelto per lei.

- Mi aspettavo saresti passata. Non mi lasci mai troppo tempo senza di te… al contrario di tuo padre- disse lo zio, strofinando le dita sul collo del calice.

- Lo conosci meglio di me. Se non fosse che salgo un paio di volte al mese a Monteveglio, lo vedrei anch’io solo alle feste, come te. Da quando è in pensione è sempre lì e non si schioda mai-

- Puro è nato e puro vuole morire. E’ sempre stato convinto che i rapporti si mantengono interrompendoli o diluendoli. Dal suo punto di vista ha anche ragione, penso. Ha sempre detto che quello che c’è fra le persone deve essere tenuto al riparo dalla corruzione del tempo e delle parole; per proteggerle, le persone e tutto il resto che le circonda. Sai che da giovane, ma anche dopo essersi sposato, ripeteva sempre che la gente dovrebbe morire nel momento in cui mette al mondo i figli, perché avendoli al fianco, crescendoli, si diventa dieci volte più egoisti, dieci volte più razzisti, dieci volte più indifferenti agli altri. Era la sua provocazione preferita, anche con i tuoi nonni. Penso fosse la sua paura di allevare uomini o donne peggiori di come sarebbero stati senza essere contaminati. Il merito e la responsabilità di essere figlio molto più grandi di quelli di essere genitore. Poi sei arrivata tu…aspetta…-

Si alzò, andò nel retrobottega e tornò con una bottiglia di Morellino di Scansano molto vecchia e vuota.
- Vedi questa? Non te l’ho mai raccontato: quando portò tua madre in ospedale per metterti al mondo, subito dopo si precipitò qui… entrò come una furia, prese questa bottiglia e se la scolò in venti minuti scarsi. Non mi guardava e non parlava. Solo prima di uscire dal negozio e tornare in ospedale, mi puntò gli occhi addosso e disse: Così mi sembra di meritarla già un po’ di più… Per molto tempo sei stata la sua sola eccezione. Neanche tua madre lo è stata e quando Giuseppe ha pensato fosse il momento di allontanarsi da lei, lo ha fatto, son convinto senza aver dubbi, neanche per un secondo. E Adele lo ha capito, da donna intelligente: non è mai stata insieme all'immagine di tuo padre che aveva nella testa, come succede a molti, ma insieme a tuo padre nella realtà. Lo capiva.-

- E adesso anche io ho smesso di essere eccezione…-

Le loro parole, velate dal vino, proprio come un buon vino non avevano sapori di evocazione o nostalgia, ma di semplice constatazione. Niente da dire. Ripensò a Jacopo in quel momento.

- Sì, penso che ora hai smesso anche tu di esserlo. Conoscendolo, lo vedo totalmente impossibilitato a capire per quale motivo dovrebbe essere parte integrante e attiva della tua vita adesso. Non lo farebbe certo perché a te sembra di volerlo. Ai suoi occhi, ti sta facendo il regalo più grande: si fida di te e non ha bisogno che tu ti fidi di lui, perché pensa che quello non conti nulla ormai.-

Seguirono secondi di silenzio in cui entrambi vuotarono i loro calici, che zio Luca prontamente riempì. Lei sentì di essere fatta di terra, per il calore che emanava e i suoni che assorbiva. Rossa, gialla, grigia, non sapeva. Ma terra.

- Ma dimmi, Sandro come sta? I primi tempi di convivenza ti stanno mettendo a dura prova?- scivolò via lo zio, sorridendo.

- Ero contenta, ma anche fottuta di paura all’inizio. Perché mi sembrava l’unica strada che volessi prendere e in quanto unica anche rischiosa. Ma devo dire che ora, dopo sette mesi, mi sembra già di non dovere temere più niente, di non avere più la sensazione di dovermi sbattere con lui per equilibrarci. E’ difficile spiegarti le mie sensazioni, perché in realtà sono cose a cui non penso. Ecco, forse può sembrare brutto detto così, ma prendo da Sandro ciò che mi serve… e anche lui fa lo stesso.-

- Non è brutto. E’ così. Prendere, non dare. Al massimo lasciar prendere. Capisci ora perché Giuseppe, che in alcuni momenti può sembrarci un alieno, è tuo padre e mio fratello? Lui mette dei chilometri fra sé e il resto, io ci metto il vino. Lui i silenzi e io le parole, ma sappiamo entrambi, come lo stai capendo tu, che neanche un secondo della vita degli altri, anche quelli a noi più vicini, ci appartiene; pensare di capire cosa serve all’altro è di una presunzione incredibile e quando ci riesci non basta. Forse il tempo va impiegato nel denudarsi e nel prendere da soli il necessario. Anche quello è difficile e presuntuoso, ma se ci riesci, quello sì che basta.-

- Prendi, perché gli altri possano prendere…-

- Sì-

Lo zio inclinò la testa indietro vuotando il bicchiere. Gli angoli della bocca, inarcati in un sorriso beato, lo illuminarono.

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