sabato 15 gennaio 2011

L'aria fra le dita (cap. 2)

A. Skujina, Prove di metamorfosi, olio su t., 100x70, 2010
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Si guardava le dita. Strano. Le guardava intensamente, quasi a volerle ipnotizzare. Jacopo, lo stagista, era strano quella mattina. Non lavorava, si guardava le dita e non parlava.
Le sue dita, invece, suonavano la tastiera del computer, quel giorno. Accarezzavano i tasti, che mostravano di gradire quell’andamento costante ma non sostenuto, rilasciando l’impulso e materializzandosi in lettere sul monitor, ciascuna mostrando di gradire la presenza di altre lettere vicino a sé. Si tenevano per mano le lettere quel giorno, attente alle più sfortunate di loro, che potevano cadere in uno spazio vuoto o inciampare in un punto. O, se erano venute fuori in un posto non loro, essere cancellate. Raccontavano con la condiscendenza che si riserva agli sciocchi la riunione del giorno prima. Eroiche, ma anche ironiche.
- Ore 12,43-  Jacopo ruppe il silenzio iniziato dal “Buongiorno” con cui si era presentato la mattina.
Lei si alzò e prese posizione dietro la finestra. Come ogni lunedì, martedì e venerdì e Jacopo l'aveva aiutata a ricordarsene ancora una volta. Due minuti di ritardo, che lei sfruttò lanciando occhiate fugaci a Jacopo che continuava a guardarsi le dita. Poi, la linea 14C comparve in via Mattei e si arrestò sotto la sua finestra per la fermata. Riusciva a vedere solo mano e la gamba sinistra del conducente. “Ciao Sandro” salutò dentro sé, quando l’autobus ripartì.
 Tornata a sedersi, ridiede voce a quel poveretto del direttore commerciale, interrotto durante la sintesi del suo intervento. Il destino di quell’uomo consisteva nell'essere sempre interrotto mentre parlava, anche su un misero file word. Sorrise, ma quel sorriso le parve terribilmente incongruo quando sollevò lo sguardo e vide Jacopo che la stava fissando, tranquillo.
- Quanti anni ho io?- le chiese, con i suoi occhi verdi.
- 24, no?-
- 23 e 8 mesi, per la precisione. Guarda qui…-
Le fece cenno di avvicinarsi, chinò la testa e con le dita diradò i suoi capelli corti (e profumati, lo sentiva). Fu davvero difficile per lei scorgere, anche in quei capelli neri come la notte, il contrasto di due capelli bianchi, poverini.
Si tuffò indietro a sedersi, ridendo sguaiatamente, di sollievo.
-         e questo è il motivo per cui oggi sei un’anima in pena? Ma vaffanculo va! Non ti facevo così!- continuando a ridere.
 Infatti non era così e lei, nel suo intimo, lo sapeva, tanto che quella risata sonora le sembrò ancora più sgradevole del sorriso di un minuto prima. Lo sapeva che Jacopo non era così.
Rampollo di ottima famiglia bolognese, era ancora più ottimo, perfetto testimonial di un’ipotetica campagna pubblicitaria pro-genere umano, del tipo “l’uomo è uomo, la scimmia è scimmia”. Si muoveva come un principe umile, dispensando le giuste parole al momento giusto. Lavorava, anche sulle cose nuove, con una disarmante nonchalance, la stessa che gli aveva consentito di finire l’università nei tempi, anche qui, giusti. Un giorno le aveva fatto vedere le foto della sua laurea e non si era stupita di constatare come in ogni foto il suo sguardo fosse il più giovane fra i giovani, il più maturo fra gli adulti. Era gradevole e misurato, mai invadente, di battuta pronta e acume gentile. Non c’era dubbio che i suoi non avevano mai dovuto alzare la voce con lui. In azienda tutti lo trattavano con un rispetto che normalmente gli stagisti si sognano; forse, pensava lei, perché  immaginavano di trovarselo un giorno come capo, viste le sue capacità e il suo saper trattare con tutti. Queste prospettive normalmente stimolano invidia e voglia di tarpare le ali, ma nel caso di Jacopo sembravano generare una sensazione di piacevole relax nel rinfrescarsi all’ombra del suo futuro. 
- Ieri, quando eri già andata via, mi hanno convocato per offrirmi un contratto, di quelli buoni. A Milano, alla casa madre…- sputò fuori in un istante, ignorando la sua risata.
- Cazzo, ma dici davvero? Ma è grandioso- lei, ancora dissonante dalla realtà- sei qui solo da quattro mesi! Oddio, noi già si scommetteva su quando sarebbe successo qualcosa del genere, ma nessuno immaginava in questi termini… Milano… grandissimo. Ti alzi in volo e mi lasci quindi?... Non mi sembri molto sicuro…- era tornata sulla terra.
- No, invece non ho nessun dubbio. Milano è un’opportunità in questo momento. Offre quello che serve. Quasi tutto e non hai scuse…-
- Beh, mi sembra perfetto, non hai mai avuto bisogno di scusarti tu, da quando ti conosco…-
- Appunto, ed è per questo che non ci andrò…-
Capì che era arrivato il momento di ascoltare, senza interrompere. Non era il direttore commerciale.
- E’ per questo che oggi è il mio ultimo giorno qui. E’ per questo che poco fa, quando eri alla finestra, ho cancellato l’archivio dei dati di vendita. Volevo fare un danno: ne ho fatto uno discreto, anche se rimane l’archivio cartaceo. E adesso andrò a confessare il mio errore e me ne andrò oggi stesso. Mi scuserò e me ne andrò, anche se cercheranno di trattenermi. Domani me ne resterò nel letto, spero che piova. Poi, non so. Non sono di quelli “mollo tutto per trovare un mio sogno”. Io voglio avere dei sogni, ma non avere alcuna voglia di raggiungerli. Voglio fare grandi progetti da mandare sistematicamente a puttane. Guardarmi nello specchio e farmi rabbia. E chiedere scusa, cominciando da me stesso. Voglio che la gente non mi riconosca più e che non faccia più alcun affidamento su di me. E’ ora che comincino ad amarmi per quello che non sono. Non diventerò un pazzo scatenato, un tossico o un esaurito. Semplicemente non farò. E andrò a letto alla fine di una giornata in cui ho salito un gradino e ne son disceso subito. Una giornata in cui non è successo niente…-
Mentre parlava così, non era in preda ad un’alterazione emotiva.. Era quello di sempre, sereno e nitido, le sue parole erano rotonde, calde come sempre, ma fingeva bene di non capire il trabocchetto insito nella sua scelta confessata: l’assoluta impossibilità di eludere, anche cambiando le carte, la propria natura, che al massimo può essere scalfita. Avrebbe fatto quello che diceva e questo ancora una volta era la sua dannazione.
Lei, incapace di dire nulla come di credere per un solo istante che stesse scherzando, lo vide alzarsi, fermarsi davanti alla finestra e guardare in faccia il sole. Poi, si avvicinò alla sua scrivania e la baciò sulla guancia:
- Ciao, è stato un piacere lavorare con te-
E la lasciò lì, in compagnia di un’unica lacrima a rigarle il volto.

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