mercoledì 9 febbraio 2011

L'aria fra le dita (cap. 5)

A. Skujina, Le maschere di Oleron, 60x80, olio su tela, 2010
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 Al ritorno a casa, si sorprese, ma non tanto, di vedere che Annamaria Vedovati la guardava in faccia. La incontrò in ascensore e parlarono, come spesso accadeva, di beghe condominiali. Questa volta però Annamaria la guardava dritto negli occhi e aveva un viso più disteso, mentre solitamente lasciava vagare lo sguardo per l’abitacolo dell’ascensore o scriveva sms sul cellulare. Anche la sua bellezza matura, di donna ormai vicina ai sessanta, si era dipinta di naturalezza, nonostante i capelli tinti e qualche tiratina qua e là. Per la prima volta riuscì a ipotizzare cosa avrebbe fatto quella donna una volta a casa. Non ci era mai riuscita. La immaginò spogliarsi, mettersi in vestaglia e ciabatte, mangiare un piatto di penne al sugo e leggere un romanzo,un giallo.
Due settimane prima, Annamaria Vedovati, storica e prestigiosa firma del Corriere, aveva firmato un pezzo in prima pagina. In venticinque anni di carriera ne aveva collezionati di articoli in prima e le sue parole pesavano ed erano ascoltate. Solo che negli ultimi anni Annamaria aveva una sensazione strana. Vedeva materializzarsi i suoi articoli sotto gli occhi d’improvviso, scritti bene come sempre, ma li vedeva lì, già pronti, già incolonnati in un quarto o nel piè di pagina. Le sembrava anche di poter leggere i pezzi confinanti. Le parole erano lì dove dovevano essere, irrigimentate e suonavano tanto bene da essere false. False di paura, ben sedimentata nel dolce far finta di niente. La paura, fra i tanti, ha un vizio in particolare: stanca. E Annamaria era stanca. Così un bel giorno di due settimane prima aveva insinuato un certo articolo in prima pagina, serena del fatto che ciò che scriveva non subiva nessun tipo di vaglio da tempo. Da quel giorno ricominciò a guardare dritto negli occhi le persone alle quali parlava e per le quali scriveva con la stessa naturalezza e serenità con cui vedeva i suoi articoli retrocedere sempre più all’interno del giornale, sempre con meno spazio a disposizione…
Arrivate al quarto piano, la giornalista la salutò e uscì. Quando l’ascensore raggiunse il sesto, lei vide dinanzi a sé la porta di casa e, per la prima volta quel giorno, sentì le gambe tremare.

Continua e finisce nel prossimo capitolo...

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