martedì 22 settembre 2015

Guerra, guerra, guerra!


A. Skujina, A metà, 2014, acquerello su carta, 30x44 cm 



Che ne sai tu, ragazzina, di quella guerra? Che ne sai tu di quelle donne? Che ne sai tu di quella storia?


È la storia di Enrichetta Sanistracci, 49 anni, vedova e con due figli al fronte. Quando, durante i primi rastrellamenti, la famiglia Landau bussò disperata alla sua porta chiedendo aiuto, lei sulle prime rimase pietrificata dal terrore di dover fare la cosa giusta così, da sola. Ma poi “Venite, vi nascondo nel solaio”. E il giorno dopo, quando la pattuglia tedesca arrivò e l'obertruppfuhrer Streimann le piantò in faccia i suoi occhi gelidi, “Signora, siamo alla ricerca delle famiglie giudee che abitano in questa zona. Lei ne nasconde qualcuna?”, lei mantenne il controllo, non cedette all’emozione nemmeno per un momento e di risposta piantò i suoi di occhi in quelli dell’ufficiale: “Certamente capitano, li ho nascosti nel solaio, sono purtroppo solo 6. Prego. Gradite un caffè nel frattempo?”


È la storia di Armandina Colapietro, 7 anni, che nascosta fra le fronde di un albero, dovette assistere alla fucilazione di Nonno Adelmo da parte dei fascisti, che lo accusavano “di dare supporto ai traditori della Patria”. Li vide farlo inginocchiare, sparargli un colpo in testa e poi cavargli i denti d’oro dalla bocca. Immobilizzata dalla paura, solo quando andarono via scoppiò in un pianto dirotto, irrefrenabile e urlò di impotenza. I denti del vecchiaccio le piacevano tanto, li aveva sempre voluti lei.


È la storia di Elisabettuccia Torregiani, 16 anni, vedetta partigiana con una piccola particolarità: non vedeva. La chiamavano "l'angelo cieco". Ma con il suo udito finissimo era in grado di riconoscere il motore di una Kübelwagen da chilometri di distanza. Poggiando l’orecchio a terra, era persino in grado di riconoscere le voci sui mezzi.
Un giorno fu catturata dai tedeschi. La tennero prigioniera per estorcerle informazioni, picchiandola ogni giorno.
Riuscì a fuggire, qualche notte dopo, grazie all’aiuto di Jurgen, un soldato semplice che si era innamorato di lei. Una notte senza luna. "Portami al fiume, lì saprò orientarmi". Arrivati sulla riva, si abbracciarono prima di separarsi. A quel punto lei mise in atto il suo piano: sfilò il coltello dalla cinta di Jurgen e lo colpi tre volte, una al collo, una al petto e una al basso ventre. Il giovane sassone cadde in ginocchio e lei proseguì come le aveva spiegato zia Demetra. Gli cavò gli occhi dalle orbite, li immerse nelle acque del fiume, recitò la formula mandata a memoria, cavò i propri di occhi dalle orbite, immerse la testa nel fiume, recitando la formula sott’acqua e inserì i bulbi di Jurgen nelle proprie cavità. Testa fuori dall’acqua. Buio. Ombre. Solo ombre. Ma le vedeva. Una notte senza luna, come aveva detto la zia. E lui l’amava, come aveva detto la zia. Grazie zia. Il paese la malediva, ma Elisabettuccia l’aveva sempre saputo che zia Demetra era la migliore.
Jurgen non si muoveva più. Un bel bacio ora se lo meritava, povero coglione. "Smack"

Si rialzò.

“E ora una bella vacanza. Sole, caldo. E fanculo a 'sta cazzo di guerra”


È questa la nostra storia, quella che non troverai sui tuoi libri, ragazzina.


venerdì 27 febbraio 2015

L'inquilino del terzo piano





La frase “Se ti piacciono tanto gli immigrati, allora portali a casa tua”, che nelle intenzioni di chi la pronuncia dovrebbe essere una geniale provocazione, è in realtà strepitosa perché rivelatrice di quale sia l’unica vera stella polare, il grande ideale che ci muove. Non la patria, non la razza. Non l’identità e comunità nazionale. Non la sicurezza. Non la difesa delle radici cristiane (tutti ricorderete la famosa legge sull’immigrazione Gesù-Bossi-Fini). Ma il pianerottolo, o il caro vecchio orticello se preferite.
C’è proprio una difficoltà, un blocco emotivo a contemplare questioni di cui non ci si possa lamentare con l’amministratore. Saremmo tutti più sereni e tranquilli se la complessità che ci circonda fosse a portata di regolamento condominiale. “Si ricorda ai signori condomini che è possibile tenere in appartamento fino a un massimo di due cani, 3 siriani oppure 10 cinesi, che tanto quelli si adattano. E’ rigorosamente vietato ospitare muezzin”. E potersi così lamentare col geometra in ascensore perché la signora del quarto piano ha steso ad asciugare 2 somali pescati al largo di Lampedusa e ci sta sgocciolando tutto il balcone. Così, tutto molto più semplice, senza affaticarci a usare paroloni di cui non conosciamo nemmeno lontanamente il significato. Vogliamo essere solo rassicurati che le cose non sfuggano alla nostra dimensione ideale e che soprattutto nessuno si dimentichi di chiudere il portone.
Bah, per fortuna che è rimasta la “sinistra” a parlare di immigrazione solo e soltanto in termini di punti di Pil, risorse e forza lavoro da dare il prima possibile in pasto allo sfruttamento, altrimenti davvero non so come faremmo, caro Yoosuf… ehi, i piedi sporchi sul divano ho detto no!

mercoledì 4 febbraio 2015

La teoria del niente



A. Skujina, Luogo 27, 2014, acrilico su plastica, 30x40cm

The worst of autunninverno 2014/15



Lecce, quattro salentini torturano due immigrati: "Ascoltate quest'altra pizzica"

Immigrati torturati in Salento. E tu che volevi andare in Sardegna!

I 4 mettevano sale sulle ferite dei due venditori ambulanti. Qui giù siamo bravissimi a valorizzare gli ingredienti poveri.

I Musei di Lecce saranno gestiti da un'impresa di pulizie. Che non è male se consideriamo che al Maxxi c'è la Melandri.

Taranto, stadio gratis per chi è disoccupato. Si va verso il tutto esaurito.

A Taranto i disoccupati potranno entrare gratis allo stadio. A patto che poi restino lì.

Caso Stamina, Vannoni potrebbe essere condannato a un anno e 10 mesi. Salviamo il piccolo Davide! 

Il sindaco di Pomezia vieta di parlare con le prostitute: "Se li devono guadagnare quei soldi"

Il sindaco di Pomezia vieta di parlare con le prostitute. Vuole isolare la minoranza Udc.

La fiducia nel governo Renzi è in picchiata. Dai, facci vedere questa slide.

Renzi: "In Europa abbiamo la fama di quelli che rinviano i problemi. Ma parliamone dopo"

Jobs Act, La Cgil valuta un ricorso all'Ue. Che è un po' come chiedere a Manzoni di stroncare i Promessi Sposi.

Pesaro, trovato morto ex del M5s: si ipotizza il suicidio. Si è riallineato al movimento.

Berlusconi: "Grillo stanco, io in gran forma". Cioè, questi si alternano proprio.

Santoro dà l'addio a Servizio Pubblico, rivendicando di aver portato all'attenzione del pubblico i veri drammi. Che c'entra ora la Borromeo?

Ricercatori italiani scoprono 27 nuove specie animali. Semplicemente leggendo commenti su facebook.

Il ministro Franceschini: “Gli italiani potranno pagare le tasse con un’opera d’arte”. Il dito di Cattelan.

Rientrato l'allarme per un sospetto caso di ebola a Roma: "È solo negro"

L'esperto: "L'ebola non è un rischio per l'Italia". Semmai un'opportunità.

Polizia picchia donna incinta che occupava una casa e la fa abortire. L’ennesimo sgombero.

Il sindacato di polizia: "Le parole fanno più male dei manganelli". La prossima volta picchieranno con dei dizionari.

Le vittime delle stragi naziste ora possono chiedere il risarcimento alla Germania. O in alternativa a Nicoletta Braschi.

Secondo il gip, Renato Schifani ebbe rapporti con mafiosi solo per ragioni legate al suo lavoro. Sfuma l'ipotesi "hobby".

Tifosi di una squadra giapponese imitano gli ultrà dell'Atalanta. Ma almeno si capisce cosa dicono.

Esce il nuovo singolo di Vasco. Ormai le sue canzoni suscitano lo stesso tipo di imbarazzo che provocano i nonni quando si pisciano addosso al ristorante.

Isis: "Ci prenderemo le vostre donne". E non dimenticate i marmocchi.

Prete frustava i fedeli con il rosario e li costringeva a leccare il pavimento. Non so voi, ma io questo lo stimo.

Uova e farina sui clienti in fila per l'iPhone6. Finalmente potranno nutrirsi.

I figli nati dalla generazione erasums sarebbero un milione. Il problema è farseli convalidare.

Albania, arriva il Papa. Lì la chiamano così,  Maria De Filippi.

Madre fa violentare la figlia da 1800 uomini: "Te lo chiede Satana". Meno male, pensavo l'Europa.

Norvegia, simpatizzanti dell'Isis volevano fare una strage in un’abitazione scelta a caso: "Proviamo da questi Breivik"

La Nasa informa che nello spazio è stata trovata una quantità in eccesso di antimateria. Dev'essere la componente civatiana.

Bambina distribuisce eroina ai compagni d'asilo. "Scegliete la vita, scegliete la mamma, scegliete un triciclo, scegliete una maxilavagna magica del cazzo..."

In India hanno nominato un ministro per lo yoga.  Non ditelo alla Moretti.

Kim Jong-Un scompare e ricompare dopo 40 giorni. A vederlo, non di digiuno.

Eurodeputata lettone lascia il gruppo di Farage e Grillo: "A 'sto punto meglio Putin"

Dopo l'abbandono della deputata lettone, il gruppo è stato sciolto. Era l'unica figa.

Usa, Obama regolarizza 5 milioni di clandestini. E intanto gli italoamericani muoiono di fame!

Uno degli attentatori di Parigi, prima di attuare il suo piano, sparò ad un runner. E fin qui ci può stare.

Donna stuprata per 300 volte dal marito nel sonno. Poi lo svegliava.

Regno Unito, autorizzata la procreazione in vitro con il DNA di tre genitori. Non saranno mica i primi bambini che nascono da un’orgia.

Secondo un teologo, Gesù era un esperto in cucina. "Questo è il mio sanguinaccio"

Tori Spelling ha i sintomi dell'ebola. Uffa, io preferivo quando stava con David!


mercoledì 30 luglio 2014

Il giorno in cui diventai un supereroe




PROLOGO


-          È il corriere SDA!

Dove per SDA non intendevo il nome del corriere, ma era l’acronimo della bestemmia che ho tirato per essere stato buttato giù dal letto dalla consegna mezzora prima della sveglia che avevo fissato. Perché essere svegliati mezzora prima del previsto, soprattutto quando ti devi svegliare presto, è una delle cose più brutte a questo mondo. Comunque mai visto consegnare un pacco alle sette e un quarto, forse era l’ultima consegna del giorno precedente e non la prima di quel giorno.
Ritiro il pacco e per il rincoglionimento mi sa che firmo il polso del corriere e non la bolla di consegna. Lo abbraccio, non il corriere, il pacco, che era un rotolone alto quanto me e mi ci appoggio. Mentre sono lì, in attesa degli ultimi neuroni ritardatari, l’occhio mi cade sulla lettera di vettura: “Destinatario: VIGLIONE DONATI”.
Donati. Donati. Donati.

Quel piccolo errore, quell’insignificante refuso fa sì che d’improvviso i neuroni mancanti si presentino tutti insieme alla festa, si uniscano ai presenti e inizino un girotondo, sempre più veloce, sempre più vorticoso, finché questo vortice non mi afferra e mi risucchia. Riportandomi a 4 anni prima, a



 IL GIORNO IN CUI DIVENTAI UN SUPEREROE

Settembre 2010. Bologna. La sto lasciando, Bologna, dopo 11 anni. Devo riconsegnare l’appartamento al proprietario di casa, un brav’uomo per carità, ma che in quanto a ebreitudine non aveva da invidiare a nessuno. Aveva una fessura che gli separava gli incisivi e che noi avevamo individuato come sua personale macchinetta contasoldi, visto che quando gli portavamo l’affitto, la netta percezione era che quella fessura si allargasse.
Quindi l’appartamento glielo devo riconsegnare bene, molto bene. Altrimenti mi scordo la caparra, bella sostanziosa.

Ora, se per caso avete una lontana idea di cosa può essere diventato un appartamento di Bologna abitato consecutivamente per 11 anni da giovani uomini, prima universitari poi lavoratori al primo impiego, bene, sappiate che quell’idea è comunque moooolto ottimista rispetto a quello che era diventato l’interno 17 del quinto piano di via Riva di Reno 4. Il muro non era un muro, era una necropoli messapica. Decine e decine di poster, macchie di qualsiasi elemento esistente in natura, persino un’impronta di scarpa sul soffitto. E come se non bastasse alcune prove che alzavano ulteriormente il livello di difficoltà dell’impresa. Tipo: una collezione di circa 150 sottobicchieri attaccati al muro col BOSTIK da uno dei primi inquilini della casa, mio caro amico, del quale vorrei tutelare la privacy e che quindi chiamerò semplicemente Il Cazzone. Sul quale comunque non infierirò considerato che uno dei maggiori, se non il principale, artefici dello stato del resto della casa era il sottoscritto. E ancora: una vasca da bagno sul cui fondo si era depositato gradualmente uno strato nero come la notte, duro come la pietra.

Quindi bisogna fare un gran lavoro, con poco tempo a disposizione. Un lavorone manuale a cui si aggiunge un altrettanto imponente lavoro emotivo, dovuto al dover sostanzialmente resettare 11 anni di Storia.
Provo a chiedere un preventivo a un paio di professionisti, poi a un paio di cooperative (ho capito perché si chiamano così: cooperano per mettertelo in culo) ma siccome mi ritengo ancora troppo giovane per dovermi vendere un rene, desisto e decido che bisogna fare la cosa in economia. Anche perché lo scopo è riprendersi la caparra non darne il triplo agli imbianchini.

La cosa peggiore è che a fare quel lavoro sono rimasto sostanzialmente da solo, se escludiamo gli interventi dei santi Dino e Tony, che quando potevano, fuori dal loro orario di lavoro, venivano ad aiutarmi, loro che in quella casa nemmeno avevano mai abitato. Ma la cosa ancora peggiore è che se esiste una persona al mondo totalmente priva di qualsiasi senso pratico e abilità e conoscenze tecniche manuali, quello sono io. E se volete, mio padre. Comunque io. Non so letteralmente da che parte iniziare. In mio soccorso c’è San Dino che mi erudisce sui fondamentali rudimenti del mestiere.

Ma dimentico il punto che mi porta a introdurre il personaggio cruciale di questa storia: la problematica questione degli infissi. Che ovviamente erano messi come il resto della casa, cioè di merda. Quelli non potevo farli io.

-Ah, ma non c’è mica problema, le chiamo un mio cugino che è del mestiere e li fa lui, e poi decurtiamo dalla caparra che le restituirò se il resto è tutto a posto- mi “tranquillizza” (con moderato allargamento della fessura fra gli incisivi) il padrone di casa.

E arriva questo cugino, Luca. Un ometto di mezz’età e di mezza taglia che già al primo impatto mi provoca un leggerissimo sibilo nelle orecchie. Uno sguardo a punta, per la maggior parte del tempo perso nel vuoto. La voce tipica di chi sembra stia bisbigliando anche quando in realtà non lo sta facendo. La ripetizione quasi ossessiva delle parole chiave delle sue frasi.
-          Farò un bel lavoro.
-          Bene.
-          Un bel lavoro. Sarà tutto bianco.
-          Sì, ok. Bene.
-          Tutto bianco.
Ho circa una settimana a disposizione per finire tutto. I primi 3 giorni sono un incubo. Non vengo a capo di nulla, vado lentissimo e faccio le cose malissimo. È più la pittura che mi finisce addosso di quella che applico sulle pareti.
-          Ah, ma secondo me non ce la fa mica- mi tranquillizza il padrone di casa ad un primo, disarmato sopralluogo.
Come se non fossi già abbastanza lento di mio, ci si mette Luca a rallentarmi ulteriormente. La prima impressione che avevo avuto di lui non si rivela esatta: era molto peggio, o molto meglio, a seconda dei punti di vista. A intervalli regolari mi sento chiamare dall’altro capo della casa (stiamo lavorando nelle due camere opposte, separate dal lungo corridoio)
-          Dimmi Luca.
-          Guarda. Sta venendo bene!
-          Sì, vero.
-          È bianco. Prima non era bianco. Ora è bianco.
-          Certo. Sei qui apposta.
-          Sta venendo bene. È bianco.
-          Essì. È bianco.
Questo succedeva almeno 3-4 volte al giorno. E non solo. Io non sarò una persona particolarmente attenta, ma non mi pare di aver mai visto in vita mia un operaio che non ha con sé il cacciavite a stella, non ha una pinza, non ha lo stucco, non ha un cazzo di niente. Fino a Luca ovviamente. E altrettanto ovviamente li chiedeva a me. Solo che io non è che avessi tutto tutto.
-          Maledizione. Maledizione. E ora come faccio?
-          Beh, ad esempio potresti uscire e comprare ciò che ti serve.
-          Maledizione!
Insomma, la situazione si trascina per 3 giorni così, fra il drammatico e il surreale.
Finché non succede qualcosa.
E’ Tony ad accorgersene, in una delle sue missioni in mio soccorso. Gli stavo proprio parlando di Luca, che lavorava nell’altra stanza, quando come al solito sento chiamarmi. Tony tende l’orecchio e mi fa:
-          Ma perché ti chiama Donati?
-          Come Donati?
-          Ascolta.
Tendo l’orecchio anch’io:
-          Donati! Donati!
E’  particolarmente allarmato. Mai quanto me.
-          Dimmi Luca. Che è successo?
-          Ho rotto un vetro! Maledizione! Noooo! E ora che faccio?
-          Beh, ad esempio potresti prendere le misure, ordinarne un altro e sostituirlo.
-          Nooo! Maledizione, Donati, maledizione.
Maledizione.
In quel momento cambia tutto. Mi chiama Donati. Pensa sia il mio cognome. Mi dà del tu ma mi chiama per cognome.
Ci rifletto un attimo e poi capisco. Non si tratta semplicemente di un malinteso. Lui mi tratta da suo pari. Per il semplice fatto che mi vede con un pennello in mano, con i bidoni di pittura e con tutto l’armamentario vario, lui mi considera un appartenente alla sua nobile specie. Mi chiama per cognome, ma dandomi del tu, come farebbe con un collega. Perché su si usa così.
All’improvviso, questa consapevolezza mi fa precipitare in un mondo di preventivi richiesti, con fattura senza fattura, forniture, partite Iva, nuovi sensazionali prodotti, complimenti, rifiniture, tasse troppo alte e tutto il resto. E qualcosa cambia in me.

“Ah, ma se hai quel problema lì chiama il Donati  che te lo mette a posto eh”
“Donati, ma l’hai fatta tu la piastrellatura dall’avvocato Benfenati?”

Questa consapevolezza mi trasforma. Donato diventa Donati. Donato diventa un supereroe della manualità. Un virtuso dell’antica arte dello stucco. Un accademico dell’imbiancatura. Ferma è la sua mano, salda la sua coscienza ma soprattutto la sua scala.

Donati non è Donato. Donati è responsabilizzato. Donati vuol dire trance. Donati vuol dire iniziare a lavorare indefessamente e impeccabilmente su quelle cazzo di pareti e su tutto il resto. Donati è scatenato. A Donati mancano 4 giorni per la riconsegna, ma un Donati così ce l’avrebbe fatta anche in 3.

Perché ad esempio Donati, nel giorno del suo trentesimo compleanno, lavora come nu ciucciu tutto il giorno e la sera potrebbe anche permettersi di andare a festeggiare moderatamente con un aperitivo insieme agli amici. E invece no. Ordina una pizza chimica da un pakistano, consapevole che la lievitazione della pasta, che sarebbe avvenuta solo successivamente nel suo stomaco,  gli avrebbe impedito di dormire e consentito di portare avanti la sua missione. La mangia velocemente davanti a Otto e Mezzo di La7. E se la scena vi sembra già sufficientemente triste, è solo perché non sapete che l’ospite di quella sera era Scalfari. Ma Donati se ne fotte della tristezza e si ributta nel lavoro fino alla prima nottata.
Poi sente un rumore. Un attimo di sgomento, la scala che traballa. Ma capisce subito.
-          Luca, ma sei ancora qui?
-          Donati, ma che ore sono?
-          E’ l’una e mezza di notte!
-          Ah. Che dici, forse è meglio che vada?
-          Dico di sì.
-          Va bene. Allora a domani mattina. Suono alle sette. Mi raccomando, aprimi. Aprimi, mi raccomando. Alle sette.
-          Ok. Alle sette
-          Alle sette. Mi raccomando.
(si presentava ogni giorno alle sette e tirava avanti fino alla serata tarda, solitamente le undici. Quella sera evidentemente si era flashato riflettendo su quanto era bianco lo smalto bianco che stava applicando e aveva sforato di 2 ore e mezza. E infatti, nonostante questi orari, il suo lavoro procedeva incredibilmente a rilento. Due giorni dopo, quando io avevo finito il mio, lui non era ancora a metà. Però tutto era straordinariamente bianco. Tutto bianco, l’unica cosa che contava era quella)

Stucca, stucca, stucca. Raschia, raschia, raschia. Pulisci, pulisci, pulisci. Imbianca, imbianca, imbianca.
Donati aggredisce il nero della vasca, quasi si lussa il gomito nelle due ore e passa di sfregamenti, ma alla fine la restituisce all’antico e dimenticato splendore.

-          Donati!
-          Dimmi Luca.
(ero tornato Donato e mi stavo prendendo una pausa di una mezzoretta al pc)
-          Metti il televideo.
-          Sono su internet. Non c’è il televideo qui.
(in realtà poi ho scoperto che esiste anche il sito del televideo, che è una di quelle notizie che rendono la vita degna di essere vissuta)
-          Ma a che ti serve il televideo?
-          Devo vedere il lotto.
-          Ah, ma possiamo vederlo anche qui, sul sito del lotto. Hai giocato?
-          Il 42 sulla ruota di Napoli. E’ da molto che non esce, stavolta è uscito di certo. Il 42 sulla ruota di Napoli. È ritardatario, oggi è uscito.
-          Ma dai Luca! I ritardatari sono una stronzata!
-          Oggi è uscito. Il 42. Metti il televideo.
-          Ok controlliamo.
-          Vedi, non è uscito.
-          Maledizione!
(pugno di disappunto sulla tastiera del mio pc)
-          Oh, che cazzo fai, me lo rompi!
(non gliene fotteva un cazzo, aveva ancora gli occhi fissi sul monitor)
-          Maledizione, maledizione! Doveva uscire, doveva uscire. Il 42. Ah, ma sicuramente esce alla prossima estrazione. Alla prossima per forza eh.
-          Sai che c’è? Penso che hai ragione. Alla prossima a sto punto deve uscire per forza. Fossi in te ci punterei più soldi.
-          Il 42. Uscirà.



EPILOGO

-          Ah, ma mi congratulo con lei. Non pensavo mica che ce l’avrebbe fatta. Ha fatto un gran bel lavoro. Dopo può passare dal mio ufficio così le restituisco la caparra. Ovviamente decurtata delle altre spese convenute- (moderatissima divaricazione degli incisivi)
-          Ovviamente, ci mancherebbe.

È finita. Ho ricreato una parvenza di casa. Non mi resto che recuperare i soldini e restituire le chiavi. Ma prima, devo salutare Luca, che come dicevo era ancora nel pieno del suo lavoro.

-          Ciao Donati. Ciao.
-          Ciao Luca.
-          Mi raccomando, Donati, se qualcuno che conosci ha bisogno di un bel lavoro, dagli il mio nome. Mi raccomando.
-          Certo Luca, come no. Come potrei segnalare un altro nome che non sia il tuo? Sarebbe assurdo anche solo pensarlo.
-          Eh infatti. Oh, però Donati, mi raccomando.
-          Cosa?
-          Che sia un lavoro grosso. Grosso. Un lavoro grosso.
-          Certo. I miei amici non è che abbiano delle ville qui, però vedo che posso fare. Un lavoro grosso quindi?
-          Grosso. Un lavoro grosso.
-          Ma grosso quanto?
-          Grosso.
-          Ok, ciao Luca.
-          Ciao Donati.


Questa è la storia del giorno in cui diventai un supereroe. 

Detto che l’aspetto più bello di tutta la vicenda resta la faccenda dell’esistenza del sito del televideo, la morale è che ognuno di noi ha dentro di sé qualità e capacità nascoste che possono venire fuori in qualsiasi modo, anche grazie all’aiuto di un individuo con degli evidenti squilibri psichici.
Così, non sempre, ma quando la stringente necessità lo impone, Donato è ancora capace di trasformarsi in quel supereroe che salvò un appartamento ma soprattutto la caparra in quei buffi e definitivi giorni del settembre 2010.

Qualche volta succede ancora. Tipo qualche mese fa. Insieme a mio cugino decidiamo di ripulire un uliveto che era stato abbandonato da 40 anni. Era diventato quindi un enclave dell’Amazzonia. Ci armiamo di decespugliatori e motoseghe.
Le nostre madri (più la mia a dire il vero, visto che mio cugino Marco ha sempre avuto una discreta predisposizione per i lavori manuali) ci salutano neanche stessimo partendo per la linea del Piave.
-        
  Stai attento Donato, ti prego. Non ti tranciare una gamba.
-          Tranquilla ma’, non ti preoccupare. Però devi farmi un favore.
-          Quale?
-          Chiamami Donati.

martedì 25 marzo 2014

Reanimation





A. Skujina, Luogo 17, 2014, 26x31, acrilico e collage su carta


(piccola raccolta sragionata di piccole cose successe negli ultimi mesi, alcune importanti, altre meno, ma tutte buone per accanirsi terapeuticamente su questo blog)




Nasce il vino di D'Alema. È invecchiato in una botte di ferro.

Procurava marijuana alla figlia. Arriva da Bologna l'incredibile storia del "Papà dell'anno".

David Beckham appende le scarpe al chiodo. Poi si accorge che è Victoria.

La Svizzera introduce le quote per gli immigrati: "3 a 1 che lo colpisco alle gambe".

Padova, uno studente universitario si è preso la tubercolosi. Poi si cresce, si matura e la vita cambia.

Antonio Ingroia lascia la toga. Travaglio: "Posso usarla io?"

Nasce senza gambe e un braccio, i genitori lo abbandonano. In una scuola di break dance.

Uomo spalma escrementi su due donne e viene cacciato dal pub. Erano impiattate male.

Disoccupato canta il suo curriculum. Forse la migliore cover di Space Cowboy.

Una ricerca rivela che i gatti ci vedono come gatti. Ma non per questo ci rompono i coglioni con le foto.

Valerio Scanu: "Alla Emi mi dissero che il mio album faceva schifo". Fu così che firmò il suo primo contratto.

Maniaco sessuale feticista del formaggio, l'allarme della polizia: "Chiunque lo veda, ci abbini il vino giusto".

Jovanotti è caduto dalla bici. Questa una delle possibili spiegazioni.

Il Papa da giovane lavorò come buttafuori. Poi quel posto andò a Pietro.

Secondo il Censis il futuro dell'Italia sono le donne e gli immigrati. Lo avevo già capito rientrando a casa dal calcetto.

Il nuovo World Trade Center ha quattro torri. Così c'è l'imbarazzo della scelta.

Una pianista rischia 7 anni di carcere per aver disturbato una vicina. Calcola quanto rischia Allevi.

Norvegia, conduce il tg indossando una croce al collo: licenziata. Beh, in effetti almeno una maglietta la poteva mettere.

Datagate, L'Europa spiava se stessa. E non ci capiva un cazzo.

(Pare che i diplomatici venissero spiati anche nelle camere d'albergo: "Ehi, l'asciugamano è dell'hotel")

Ragazza sviene e Obama la soccorre: "Si aggrappi qui!"

Nucleare, dall'Iran un primo sì alle visite a sorpresa. L'Onu invierà un team di suocere.

Scontro fra Briatore e D'Alema. È dovuta intervenire la guardia costiera.  

Trovata bimba bionda in un campo nomadi. Una notizia inquietante che rischia di alimentare i gravi pregiudizi che circolano sulle bionde.

Condannato a morte impiccato due volte. Che splendido professionista!

Vernissage di una mostra, giornalista urta e manda in frantumi una preziosa scultura. Non sapeva che cazzo scrivere.

Picchia il figlio di tre mesi in ospedale. "Sente male QUI, QUI e QUI!"

Tav, trovati nella zona del cantiere 5 vecchi ordigni. Davano consigli agli altri ordigni.

San Vittore, in uno spazio di 8 metri quadri ci sono sei detenuti. Sette se contiamo l'impiccato.

Licenziamenti alla Plasmon, la rabbia dei sindacati: "Restituiteci il nasino".

Gino Bartali salvò un migliaio di ebrei. Certo, in salita fu un po' dura.

L'editore di Penthouse porta i libri in tribunale. Soddisfatto il giudice.

Hacker attaccano la pagina facebook di Alpitour: "Prenota subito per Rovigo!"

Svelato un nuovo Van Gogh ad Amsterdam. Vedete se vostra madre se la beve.

Fermati tre adolescenti americani che hanno ucciso per noia un ragazzo. Subito arruolati.

Incidente domestico: Adriano Celentano si rompe un dito del piede di Don Backy.

Appello per istituire il reato di depistaggio. "Firma qui! Anzi lì!"

Firenze, turista rompe il dito di una statua della Vergine. Che ora dovrà usarne un altro.

Nonno rapina le poste, la direttrice lo lascia andare: "Tanto sempre qui devi tornare!"

Ucciso in Siria genovese convertito all'Islam: parlava apertamente di Liguristan. Per dirvi le figure che andiamo a fare ovunque.

Campo di concentramento diventa centro commerciale. Se proprio volete una definizione di ciclo di produzione.

Violenta bimba in un'edicola. "No, mi scusi, ora la deve comprare"

I quattro delfini dell'Acquario di Rimini passano in quello di Genova. Minchia che salto!

Revocata la scorta a Vittorio Feltri. Niente, volevo farvelo sapere.




giovedì 4 luglio 2013

Il migliore



Lupin non c'è più, da qualche settimana è semplicemente scomparso. Lupin è un gatto, uno dei miei 5 gatti, per la precisione. E se proprio vogliamo essere ancora più precisi, era il migliore dei miei gatti.
Non come le due femminucce, che non fanno altro che miagolare e strusciarsi e, diciamocelo, sono un po' stucchevoli.
Non come Bufalo, che secondo me è molto stressato, forse depresso addirittura e sono convinto abbia seri problemi di rapporti con l'altro sesso.
Non come quello psicopatico di Fuhrer, con quello sguardo allucinato e quella macchia nera sul muso a mo' di baffetti, che prima o poi sono sicuro lo troverà il modo di uccidermi.
Lupin no. Aveva una sua gran dignità con quel portamento regale e il suo pelo corto lucente, tutto nero. I nostri rapporti erano improntati a una estrema cordialità. Quando mi vedeva avvicinarmi a lui per un paio di carezze faceva quell'espressione come a dire “Vai tranquillo”. Ma non dovevo esagerare, altrimenti si scostava, ché due uomini non possono perdere tempo in troppe smancerie.
Poi, da un giorno all'altro, è scomparso e non l'ho visto più e chissà ora dov'è. In momenti di inguaribile malinconia, lo immagino novello Emile Hirsch, mentre si fa le unghie su qualche albero dell'Alaska per poi rientrare nel suo magic bus. Sarebbe il tipo. Mi manca, Lupin.
Magari sono solo un illuso a pensare sia ancora vivo ma se per caso lo doveste avvistare da qualche parte, vi prego contattatemi. O, almeno, mangiatelo voi.

giovedì 6 giugno 2013

Così lontano così vicino




Guarda. Lo vedi cosa sta succedendo? E non senti anche tu dentro qualcosa di particolare? No, perché io, quando vedo queste cose succedere in una terra come quella, sì, lo sento questo qualcosa di particolare. E anche se non sono mai stato lì, anche se sono lontano, mi sembra di essere lì. Già il nome, Istanbul, mi evoca sensazioni indefinite. E poi. Saranno quelle facce dure, spesso scure, sempre familiari. Sarà che quando percepisci tutta quella storia in un Paese e vedi quei ragazzi circondati da tutta quella storia, un po' senti che la storia la stanno facendo. Anche se magari poi non la faranno. Sarà che quando una terra è un ponte, una porta, pensi che tutti quelli che si muovono in quella terra siano a loro volta una porta, un filo che collega il passato e si dipana fino al futuro e li confonde anche. Sarà che persino la violenza della repressione ti sembra abbia un senso perverso, perché tu immagini anche la violenza dei colori, degli odori, le voci alte, il sudore e ancora gli odori e tutto ti sembra sia perfettamente nel suo contesto. E quasi senti di toccare con mano e vedere con gli occhi tutto questo. Inizi a girare su te stesso e tutt'intorno è Turchia.
 - Ok cazzo, hai vinto tu: vada per il kebab.



A. Skujina, Rifugio 8, 2013, 26,5x27, tecnica mista su carta