giovedì 24 febbraio 2011

Eni via con me

 Libia, il Parlamento è in fiamme. Avete da accendere?

 Le forze del regime continuano a massacrare i rivoltosi. Neanche fossero dei semplici profughi.

Il figlio del dittatore è apparso in tv. Strano, di solito aspetta i Telegatti.

"Fermatevi e/o sarà guerra civile".

Il ministro della giustizia libico si è dimesso. A me sembra incredibile che ne avessero uno.

(Pensateci: è come se da noi si dimettesse Ghedini)

Cresce il livello di allarme nelle basi aeree italiane. Potrebbe arrivare La Russa.

Se lo spazio aereo italiano venisse violato da caccia libici, le nostre difese sono pronte a intervenire. Per far loro strada.

Dopo una lunga attesa, è finalmente arrivata la condanna di Berlusconi. In molti ora sperano di poter riutilizzare presto la frase precedente.

Berlusconi sconvolto alla notizia dei bombardamenti sui manifestanti: "Davvero si può?"

Berlusconi: "Nel Nord Africa sta soffiando il vento della democrazia". La conseguenza potrebbe essere che una farfalla batta le ali in Italia.

Gheddafi è ancora in Libia. Lo rende noto l'AssoCampeggiatori.

Gheddafi: “I rivoltosi sono sotto l'effetto di una droga allucinogena. Ma la mia è meglio”.*

Per leggere dal libro verde, Gheddafi ha cambiato gli occhiali. Mi sarei aspettato quelli col nasone e i baffi finti.

"Morirò qui". E accontentatelo no?

Nel suo discorso Gheddafi ha fatto riferimento più volte all'Italia. Era lo sponsor.

Il discorso di Gheddafi è stato talmente delirante che neanche il Tg1 se l'è sentita di montarci le domande sopra.

A causa della crisi libica, arretrano le Borse di tutta Europa. Stanno prendendo la rincorsa.

Le tensioni geopolitiche si sono subito abbattute sul debito pubblico italiano. Che è un po' come pisciare nell'oceano. 

Marcegaglia: "Gli affari e gli accordi economici sono importanti ma non possiamo chiudere gli occhi di fronte all'indegno massacro di tutta quella forza lavoro".

I 27 ministri dell'UE stanno ancora negoziando un testo di condanna della Libia. E' che proprio certe cose ti colgono alla sprovvista.

"Ciò che avviene lì è spaventoso e inaccettabile" ha dichiarato David Cameron alla vista di un bidet.

L'UE ha bloccato le transazioni di armi verso la Libia. Meno male, appena in tempo.

("Non pensavamo le avrebbero usate davvero!")

Ban Ki Moon a Gheddafi: "Basta violenze". E anche questa è fatta.

La Casa Bianca: "Spaventosa violenza. Yum-yum!"


*feat. Sisivabbe

sabato 19 febbraio 2011

Fenomeni



Ronaldo lascia il calcio giocato da altri.

Svelato il trucco per vincere al Gratta e Vinci: non giocare.

L'uomo più anziano d'Italia compie 110 anni. O era il più sfigato?

I Bilanci del Vaticano sono in rosso. Quello è il Suo sangue.

Ragazzo muore durante il compito in classe. Aveva finito le nonne.

Il Giornale pubblica delle foto di Vendola in un atteggiamento compromettente: avere vent'anni.

Le foto dimostrerebbero che Vendola ha una doppia morale. E il Giornale nessuna.

Si attende ora la replica di Vendola: non vedo l'ora di sentirgli fare un po' di poesia sul suo uccello.

Berlusconi: "L'Italia ha un debito alto, ma i cittadini sono ricchi". Proprio perché l'Italia ha un debito alto.

Egitto. Manifestante disarmato mostra il petto nudo, la polizia gli spara: ora è un simbolo. Della lotta ai malanni di stagione.

(Ma guardiamo il lato positivo: il fratello può ancora usarne la camicia)

Stampa inglese: "I milanisti sono mafiosi ed animali". Equamente divisi fra campo e tribuna.

Sanremo: Morandi batte la Clerici. E ottiene 30 kg di filetto.

Sul palco anche una divertentissima parodia: Patty Pravo.

Patty Pravo sul palco. Direttamente dall'Area 51.

Al Bano canta la prostituzione. Rendendola una speranza.

Nella categoria giovani, in gara i Btwins, due gemelli. Non riuscivo a distinguere chi dei due non avessi ancora mandato a cagare.

Sempre fra i giovani, Marco Menichini canta "Tra tegole e cielo". E' proprio dove ha fatto arrivare le mie madonne.

La Canalis non fa altro che schiarirsi la voce. Forse le serve un po' di colluttorio.

Berlusconi in tribunale il 6 aprile. "Mah!" ha dichiarato San Tommaso.

Il premier a processo per entrambi i reati. No, non quelli, quegli altri.

Il Viminale è parte lesa. Ma già da quando è ministro Maroni.

Ruby: "Continuate a scrivere che Ruby è una escort ma dovreste scrivere almeno presunta". Ok, la presunta Ruby è una escort.

Avvistato squalo nel porto di Taranto. Prima di arrivare lì era un sarago.

Uno squalo nel porto di Taranto. Si vede che Riva aveva voglia di una nuotata.

A proposito: Ruby si immergerà in una vasca di squali a Jesolo. Caspita, che coraggio: andare a Jesolo!

Celebrazione dei Patti Lateranensi: Berlusconi chiacchera con Bagnasco, Napolitano con Bertone. Come sempre, a coppie. 

Cecchi Paone denuncia di essere stato allontanto da Modica per i suoi orientamenti sessuali. O forse perché è Cecchi Paone.

Avrebbe dovuto curare e migliorare l'immagine cultutrale della città. Standone lontano.
Al via "Il Contratto", talent show di La7 in cui delle aziende assumeranno un candidato a tempo indeterminato. Potrei esserci anch'io: spero inquadrino il mio curriculum nel cestino.

Insieme alla presentatrice Sabrina Nobile, nel cast anche una filosofa del lavoro, una coach motivatrice e un head hunter: chi di loro vincerà un lavoro vero?

Ricordiamo che Sabrina Nobile è la nuora di Maurizio Costanzo. Così, giusto per aumentare il senso di fastidio.

"Non rinnego il passato da Iena" ha detto la Nobile ridendo in faccia a stocazzo.

"Si renderà un servizio a quanti da casa vogliono capire qual è il percorso di formazione, il profilo richiesto dalle aziende". Visto che nella realtà è impossibile.

Per tutta la durata dello stage i tre finalisti vivranno nella stessa casa. Alla fine del programma, solo per due di loro si schiuderanno le porte di quella dei genitori.

Licio Gelli parla di un Andreotti a capo di un'organizzazione clandestina e parallela coinvolta nelle vicende più oscure della nostra storia repubblicana. Insomma, vuole riabilitarlo.

"Io avevo la P2, Cossiga la Gladio e Andreotti l'Anello". Dai che fra poco rievocate i vecchi tempi insieme.

Nessuno aveva mai sentito parlare dell'Anello. Eppure era così semplice: era proprio lì, al nostro naso.















martedì 15 febbraio 2011

Grrrr...

Una ricerca americana ha scoperto che il sesso "spegne" l'aggressività. Ma che cazzo di ricerca di merda!

La professoressa Dayu Lin e il professor David Anderson hanno scoperto che il sesso reprime i comportamenti violenti. Specialmente mentre si lavora.

In primo luogo hanno individuato la zona del cervello dove risiede l'aggessività: attraverso l'elettrostimolazione dell'ipotalamo, gatti e ratti diventavano violenti. Se l'elettrostimolazione non funzionava, i ricercatori iniziavano a tirargli i peli.

Hanno poi rilevato che i neuroni si attivano nella stessa zona durante il sesso. E che stanno pensando ad altro.

Quindi hanno predisposto degli scontri programmati fra le cavie. Questo avrebbe assicurato una maggiore audience.

Se stimolavano i maschi in presenza di altri maschi, si scatenavano comportamenti violenti. Ma solo durante la partita.

Se invece stimolavano il maschio in presenza di una femmina, questo inizialmente aveva un comportamento violento che poi si tramutava in atto sessuale. Era passato allo stupro.

Infine il comportamento violento nei confronti della femmina ricomincia nel maschio post-coito. E' quando lei dice "parliamo un po'?".

I due ricercatori: "Il nostro studio mostra il legame fra sesso e aggressività. Un soggetto aggressivo placa la sua aggressività attraverso il sesso. E lo fa rimuovendo  il fatto che una delle possibili conseguenze è il matrimonio".

giovedì 10 febbraio 2011

L'aria fra le dita (epilogo)

A. Skujina, Prima o poi l'amore arriva, 30x30, olio su tela, 2010

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Ancora adesso ogni momento e ogni sensazione di quel giorno sono impressi sulla sua pelle. Sente ancora sui polpastrelli la vera consistenza delle cose toccate. Ricorda perfettamente il tocco dell’aria quando uscì di casa la mattina e la brezza dei Giardini Margherita. Da quel momento in poi, ricordare le persone che l’avevano accompagnata in quella giornata avrebbe voluto dire ricordare quelle persone come le aveva viste proprio in quella giornata. Come avesse scattato delle foto. Se ci pensate bene capita raramente di fissare definitivamente il ricordo di una persona in un determinato momento, senza poi modificare più quell’immagine. Capita raramente e quasi sempre è una fortuna. Di vedere il nodo fra i fili intrecciati di vite affidate al caso e coltivate nell’illusione di poter fare una scelta, limitata già di per sé dal fatto di essere obbligati a farla. Raramente riesci a vedere quante cose bruciano attorno e si divincolano vicino a un letto d’ospedale, nella disperata serenità di Jacopo, nello sguardo ritrovato di una grande giornalista, in un calice di vino o nel letto dove Sandro dormiva. In quello che succede agli altri.
Soltanto non riesce a capire perché l’unico ricordo sbagliato di quel giorno riguarda se stessa: non si vede come era, ma si ricorda vestita e inconsapevole per la festa di diciotto anni della sua amica Daniela, teletrasportata da 12 anni prima.
 Guardò il riflesso del suo stesso sguardo nella lama del coltello. Ascoltava “Robinson” di Vecchioni. Aveva gli occhi grandi e neri di chi aspetta qualcosa, qualcuno. Fissò la lama.
 "Il bambino segue un sogno/l'avventura fuori dal cortile/onda piena nelle notti chiare/la sorpresa di una fata /che dal niente fa una palizzata /una nave persa fra le stelle /quando il grillo dal camino canta e non si sa dov'è/ma l'eroe sorride ed è con te/quando il vento ha il suono di una voce dentro l'albero/e la luna fa sognare io da grande sarò/come Robinson, Robinson, Robinson...”
 La prima zucchina le veniva sempre così, tagliata a rondelle completamente irregolari, di spessore diverso. E’ sempre quella che poi si cuoce per ultima. Con la seconda zucchina acquisiva sicurezza, i pezzi le venivano più meno uguali. Quello che le mancava era la velocità. Alla terza zucchina arrivava anche quella, le rondelle diventavano sottilissime e rimanevano attaccate l’un l’altra nella parte inferiore. Sollevò quella specie di stella filante verde e ne staccò un pezzo. Poteva quasi guardarci attraverso.
 “L'orologio dei trent'anni/batte colpi che non lascian segni/e non ne ha lasciati il tuo fucile;/qui la notte è solo vento/roba consumata, è un fuoco finto,/chi non dorme aspetta le astronavi/qui l'amore passa e passa il tempo di cantarselo/nel cortile chi ti aspetta più?/Sotto il cielo, sulla spiaggia, un vecchio mago zingaro/e la luna fa pensare; " io da grande sarò/come Robinson, Robinson, Robinson..."
 Spense la musica prima dell’ultima strofa e solo allora si rese conto che stava respirando a bocca aperta e che il cuore le stava violentando il petto. Solo allora si rese conto di non poter più aspettare e corse lì, proprio lì dove custodiva un segreto, da quella mattina.
 Dieci minuti dopo era seduta, abbandonata sulla poltrona, con la testa reclinata all’indietro sullo schienale e gli occhi, spalancati, fissi sul soffitto. Paura, una lacrima le scese giù, fin sotto il mento. Era la seconda quel giorno. Catturò la terza con le palpebre chiudendo gli occhi.
Si alzò, si affacciò alla finestra: tirò dentro nei polmoni, fin nello stomaco, tutta l’aria che poteva. La restituì silenziosamente e tornò a sedersi. Tutto ora era a posto. Tutto era incredibilmente al suo posto.


Sandro Garzi finì il suo turno alle 21.30. Ventisette minuti dopo era già in via San Rocco a cinquanta metri da casa. Gli strascichi di una giornata passata a guidare autobus consistevano per lui principalmente nel classificare mentalmente tutti i passeggeri che, per un motivo o l’altro, gli avevano rivolto la parola. Su ognuno costruiva storie surreali e divertenti, perché a differenza di quasi tutti gli altri conducenti, ci prestava attenzione alla gente; ed aveva una fantasia fervida, che non esternava mai ma che riservava solo a se stesso e ad un’altra persona. Era inoltre un uomo che si meravigliava spesso di sé, pur ritenendosi fondamentalmente stupido o forse proprio per questo.
Si meravigliò anche quella sera quando arrivò al sesto piano, rendendosi conto di non averla pensata neanche per un istante, non ricordava da quanto. Si meravigliò, mentre infilava la chiave nella toppa, di avere una voglia così forte di vederla, come sentiva di non provarla, così intensa, non ricordava da quanto. Quando la trovò lì, seduta sul divano, che gli sorrideva serena, anche lui sorrise e si meravigliò ancora. Perché con quel sorriso non aveva risposto a lei. Semplicemente aveva appena scoperto come era stato facile, al primo tentativo, riconoscere il momento in cui il sorriso di una donna diventa il sorriso di una madre.

A Beppino Englaro, due anni dopo.

mercoledì 9 febbraio 2011

L'aria fra le dita (cap. 5)

A. Skujina, Le maschere di Oleron, 60x80, olio su tela, 2010
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 Al ritorno a casa, si sorprese, ma non tanto, di vedere che Annamaria Vedovati la guardava in faccia. La incontrò in ascensore e parlarono, come spesso accadeva, di beghe condominiali. Questa volta però Annamaria la guardava dritto negli occhi e aveva un viso più disteso, mentre solitamente lasciava vagare lo sguardo per l’abitacolo dell’ascensore o scriveva sms sul cellulare. Anche la sua bellezza matura, di donna ormai vicina ai sessanta, si era dipinta di naturalezza, nonostante i capelli tinti e qualche tiratina qua e là. Per la prima volta riuscì a ipotizzare cosa avrebbe fatto quella donna una volta a casa. Non ci era mai riuscita. La immaginò spogliarsi, mettersi in vestaglia e ciabatte, mangiare un piatto di penne al sugo e leggere un romanzo,un giallo.
Due settimane prima, Annamaria Vedovati, storica e prestigiosa firma del Corriere, aveva firmato un pezzo in prima pagina. In venticinque anni di carriera ne aveva collezionati di articoli in prima e le sue parole pesavano ed erano ascoltate. Solo che negli ultimi anni Annamaria aveva una sensazione strana. Vedeva materializzarsi i suoi articoli sotto gli occhi d’improvviso, scritti bene come sempre, ma li vedeva lì, già pronti, già incolonnati in un quarto o nel piè di pagina. Le sembrava anche di poter leggere i pezzi confinanti. Le parole erano lì dove dovevano essere, irrigimentate e suonavano tanto bene da essere false. False di paura, ben sedimentata nel dolce far finta di niente. La paura, fra i tanti, ha un vizio in particolare: stanca. E Annamaria era stanca. Così un bel giorno di due settimane prima aveva insinuato un certo articolo in prima pagina, serena del fatto che ciò che scriveva non subiva nessun tipo di vaglio da tempo. Da quel giorno ricominciò a guardare dritto negli occhi le persone alle quali parlava e per le quali scriveva con la stessa naturalezza e serenità con cui vedeva i suoi articoli retrocedere sempre più all’interno del giornale, sempre con meno spazio a disposizione…
Arrivate al quarto piano, la giornalista la salutò e uscì. Quando l’ascensore raggiunse il sesto, lei vide dinanzi a sé la porta di casa e, per la prima volta quel giorno, sentì le gambe tremare.

Continua e finisce nel prossimo capitolo...

martedì 8 febbraio 2011

L'aria fra le dita (cap. 4)


A. Skujina, Le ombre di Bologna, 50x30, olio su tela, 2008
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- Capito come si fa un eccelso ragù? Usa lo scalogno, non la cipolla. E il soffritto fallo metà olio e metà burro. Ma non burro comune. Usa il lurpak danese, leggermente più salato. Fallo assaggiare a Sandro, poi mi dirai…-

Anche questa volta Diego le aveva rifilato una “eccelsa” chicca culinaria. Erano quasi sempre ottimi consigli, di una mente tortuosa e logorroica. Ma non capiva perché ogni volta le diceva di farlo assaggiare a Sandro, per avere un giudizio sulla bontà del consiglio…lei non ne era capace? Mah? Forse queste in Diego erano solo reminiscenze del sud, che aveva lasciato quasi vent’anni prima. Come ovvio non del tutto.

Comunque Diego le voleva un gran bene. L’aveva conosciuto quattro anni prima, quando lui gestiva un bar in via Paradiso. Aveva capelli neri arruffati, il viso scavato e dei baffi tipo Frank Zappa, al quale effettivamente somigliava non poco. Proprio da quella somiglianza era nata la loro amicizia: nel suo bar campeggiavano quadri jazz e foto rock: fra queste quella di Zappa a petto nudo. Era chiaramente Zappa e non Diego, ma i suoi amici dovettero faticare un bel po’ per cercare di farle capire che quello nella foto non era il proprietario del locale. Non ci riuscirono e lei si fiondò al bancone per chiederlo all’interessato. Diego rise di gusto e la ammorbò per venti minuti con storia e aneddoti su Zappa, a lei che era cresciuta a pane e Baglioni. Era difficile capire sempre bene quello che diceva, perché iniziava le frasi con dei toni altissimi, quasi urlati, che poi faceva inesorabilmente scendere finché le sue parole diventavano quasi incomprensibili. Quello fu il primo dei tanti attacchi di logorrea di Diego che di lì in poi avrebbero condito la loro amicizia. Quando lui fu costretto a chiudere il bar, rovinato da ordinanze comunali restrittive sugli orari, le venne naturale proporlo a zio Luca, rimasto vedovo da poco, come aiutante nel suo negozio di vini in via San Felice. Era molto orgogliosa di aver combinato quel matrimonio perché l'amico era felice e zio Luca anche, nonostante mandasse affanculo Diego ogni cinque minuti. Ma ne apprezzava quella che per lui era la qualità più importante, facile rivelatrice: capiva il vino.

- Mia nipote!- Zio Luca irruppe nell’enoteca rombando come al solito e salvandola da tutte le varianti di pasta con i peperoni di Diego.

Prima di abbracciarla, come sempre, scelse il vino da stappare.

 

- Dunque...dunque...ci beviamo questo. Niente da dire-


Quando un vino gli piaceva molto, era sempre questo il suo commento. “Niente da dire”. La strinse baciandola sulla tempia sinistra e intimò a Diego di tagliare un po’ di pecorino. .

Sul vino davvero niente da dire. Lo sapeva, l’aveva scelto per lei.

- Mi aspettavo saresti passata. Non mi lasci mai troppo tempo senza di te… al contrario di tuo padre- disse lo zio, strofinando le dita sul collo del calice.

- Lo conosci meglio di me. Se non fosse che salgo un paio di volte al mese a Monteveglio, lo vedrei anch’io solo alle feste, come te. Da quando è in pensione è sempre lì e non si schioda mai-

- Puro è nato e puro vuole morire. E’ sempre stato convinto che i rapporti si mantengono interrompendoli o diluendoli. Dal suo punto di vista ha anche ragione, penso. Ha sempre detto che quello che c’è fra le persone deve essere tenuto al riparo dalla corruzione del tempo e delle parole; per proteggerle, le persone e tutto il resto che le circonda. Sai che da giovane, ma anche dopo essersi sposato, ripeteva sempre che la gente dovrebbe morire nel momento in cui mette al mondo i figli, perché avendoli al fianco, crescendoli, si diventa dieci volte più egoisti, dieci volte più razzisti, dieci volte più indifferenti agli altri. Era la sua provocazione preferita, anche con i tuoi nonni. Penso fosse la sua paura di allevare uomini o donne peggiori di come sarebbero stati senza essere contaminati. Il merito e la responsabilità di essere figlio molto più grandi di quelli di essere genitore. Poi sei arrivata tu…aspetta…-

Si alzò, andò nel retrobottega e tornò con una bottiglia di Morellino di Scansano molto vecchia e vuota.
- Vedi questa? Non te l’ho mai raccontato: quando portò tua madre in ospedale per metterti al mondo, subito dopo si precipitò qui… entrò come una furia, prese questa bottiglia e se la scolò in venti minuti scarsi. Non mi guardava e non parlava. Solo prima di uscire dal negozio e tornare in ospedale, mi puntò gli occhi addosso e disse: Così mi sembra di meritarla già un po’ di più… Per molto tempo sei stata la sua sola eccezione. Neanche tua madre lo è stata e quando Giuseppe ha pensato fosse il momento di allontanarsi da lei, lo ha fatto, son convinto senza aver dubbi, neanche per un secondo. E Adele lo ha capito, da donna intelligente: non è mai stata insieme all'immagine di tuo padre che aveva nella testa, come succede a molti, ma insieme a tuo padre nella realtà. Lo capiva.-

- E adesso anche io ho smesso di essere eccezione…-

Le loro parole, velate dal vino, proprio come un buon vino non avevano sapori di evocazione o nostalgia, ma di semplice constatazione. Niente da dire. Ripensò a Jacopo in quel momento.

- Sì, penso che ora hai smesso anche tu di esserlo. Conoscendolo, lo vedo totalmente impossibilitato a capire per quale motivo dovrebbe essere parte integrante e attiva della tua vita adesso. Non lo farebbe certo perché a te sembra di volerlo. Ai suoi occhi, ti sta facendo il regalo più grande: si fida di te e non ha bisogno che tu ti fidi di lui, perché pensa che quello non conti nulla ormai.-

Seguirono secondi di silenzio in cui entrambi vuotarono i loro calici, che zio Luca prontamente riempì. Lei sentì di essere fatta di terra, per il calore che emanava e i suoni che assorbiva. Rossa, gialla, grigia, non sapeva. Ma terra.

- Ma dimmi, Sandro come sta? I primi tempi di convivenza ti stanno mettendo a dura prova?- scivolò via lo zio, sorridendo.

- Ero contenta, ma anche fottuta di paura all’inizio. Perché mi sembrava l’unica strada che volessi prendere e in quanto unica anche rischiosa. Ma devo dire che ora, dopo sette mesi, mi sembra già di non dovere temere più niente, di non avere più la sensazione di dovermi sbattere con lui per equilibrarci. E’ difficile spiegarti le mie sensazioni, perché in realtà sono cose a cui non penso. Ecco, forse può sembrare brutto detto così, ma prendo da Sandro ciò che mi serve… e anche lui fa lo stesso.-

- Non è brutto. E’ così. Prendere, non dare. Al massimo lasciar prendere. Capisci ora perché Giuseppe, che in alcuni momenti può sembrarci un alieno, è tuo padre e mio fratello? Lui mette dei chilometri fra sé e il resto, io ci metto il vino. Lui i silenzi e io le parole, ma sappiamo entrambi, come lo stai capendo tu, che neanche un secondo della vita degli altri, anche quelli a noi più vicini, ci appartiene; pensare di capire cosa serve all’altro è di una presunzione incredibile e quando ci riesci non basta. Forse il tempo va impiegato nel denudarsi e nel prendere da soli il necessario. Anche quello è difficile e presuntuoso, ma se ci riesci, quello sì che basta.-

- Prendi, perché gli altri possano prendere…-

- Sì-

Lo zio inclinò la testa indietro vuotando il bicchiere. Gli angoli della bocca, inarcati in un sorriso beato, lo illuminarono.

lunedì 7 febbraio 2011

Ritorno di fiamma

Roma. Terribile tragedia in Via Appia: c'è un campo rom.

In un rogo muoiono quattro fratellini. Ora chi manterrà i genitori?

I bimbi sono morti nel sonno. Della ragione.

La madre era andata a comprar loro del cibo in un fast food. Voleva che fossero come tutti gli altri bambini: avvelenati.

Il sindaco Alemanno... Dio mio, Alemanno è sindaco.

Il sindaco Alemanno chiederà al governo poteri speciali contro gli insediamenti abusivi. Tipo la sua giunta.

Alemanno: "Basta forni crematori a cielo aperto". Che gli viene nostalgia.

"Maledetta burocrazia". Per i reclami si rivolga all'apposito sportello.

La presidente della circoscrizione: "Avevamo segnalato questo campo e nessuno ha risposto", ha detto scagionando così Alemanno.

Il Pd attacca. La solita solfa.

"Alemanno deve fare un'assunzione di responsabilità". O almeno di un cugino.

"Siamo tutti colpevoli di indifferenza". A proposito di cosa?

venerdì 4 febbraio 2011

L'aria fra le dita (cap. 3)


A. Skujina, Bologna, Via San Leonardo, 40x60, olio su tela, 2008
Clicca per leggere il primo e il secondo capitolo.
Bologna apriva le sue giunoniche braccia all’inizio della primavera e lei, a mezz’ora dall’orario di uscita, fu colta da una frenesia che le rendeva insopportabile ogni secondo in più passato su quella sedia. Muoveva le gambe e contorceva il bacino alla ricerca di una posizione, con un unico pensiero. Non il ricordo di quanto era accaduto quella mattina a casa, non Jacopo, il suo gesto. Neanche tutto quello che era successo dopo in azienda dove c’era stata una reazione che supponeva paragonabile alla perdita prematura del figlio prediletto. Voleva solo uscire e quando l’aria aperta la accolse, benedisse ripetutamente il suo orario di lavoro part-time tanto quanto era solita maledirlo di inverno, lasciata sola nel grigio velenoso della città.
Visse con un po’ di fastidio i venti minuti di autobus per tornare in centro, la frenesia tornò più forte di poco prima. La sua attenzione fu attratta dallo sguardo di un ragazzo africano che incontrava spesso su quella corsa: l’effetto che la primavera aveva avuto su di lui sembrava opposto a quello che aveva subito lei. Solitamente sorridente, speranzoso, ora aveva la testa appoggiata al finestrino e gli occhi spenti dal sole che gli aveva ricordato dov’era.
La rivolta bruciava l’Europa negli schermi del negozio di via Dante. Bruciava ovunque, da Glasgow a Kaunas a Barcellona, dove in quel momento, in Avenida Portal de l’Angel, i manifestanti stavano devastando El Corte Inglès. I protagonisti si alternavano su televisori che nessuno avrebbe comprato: quelli che assalivano il futuro, con rabbiosa privazione; quelli che gestivano il presente, sempre più inutili e impuniti; quelli che offrivano il passato, vestendolo a soluzione. Un grande mondo, incendiabile da un dito, che lei prontamente si guardò. E le sembrò che anche le persone intorno a lei facessero lo stesso.
Una voglia incontrollabile e un gelato, fregandosene dei suoi cinque chili di troppo, perché ognuno lotta come può e soprattutto come crede.
Aveva quasi 30 anni e da almeno la metà il suo posto sul prato dei Giardini Margherita era sempre quello, superato il ponticello e il bar, sulla destra dell’imbocco del sentiero che fende la grande distesa d’erba. Si tolse la giacchetta, che diventò il suo piccolo lenzuolo. Stesa, immobile con le braccia che le cadevano lungo il corpo, lasciò che il tiepido calore del sole le accarezzasse le palpebre chiuse e la pelle candida e sentì i capelli scivolare giù dalla fronte. Un soffio di vento le penetrò nella maglietta, sorprendendo il caldo della sua pancia e intirizzendo i suoi muscoli in una sensazione di eccitazione che risalì dalla schiena per arrivare fin su le punte dei capezzoli. Ascoltò le poche voci, le tante lingue presenti ai giardini quel giorno mescolarsi nelle sue orecchie, Babele. Schiuse le labbra, non per parlare ma per sognare.
E sognò manifestanti inferociti davanti alla sede di una banca, fermarsi e guardare attoniti che i vetri venivano rotti dall’interno. Da Jacopo, che poi si univa a loro saliva sull’autobus che lei guidava con Sandro al suo fianco. Tutti calmi ora, tutti bambini. Tutti con il viso schiacciato sui finestrini a guardare suo padre, nella cascina di Monteveglio dove per hobby costruiva cucce per cani, costruirne una più grande. Sentì il desiderio insopprimibile di entrarci per guardare il mondo da lì dentro, come sempre aveva fatto da bambina; il sapore della prima birra bevuta, a 15 anni in un bar di via Parigi con quel ragazzo timido che ora non aveva nome; sentì le mani di Sandro che le stringevano le braccia.
Un brivido più forte le aprì gli occhi, il giorno stava finendo. Si alzò morbida e s’incamminò verso l’uscita di Porta Castiglione, in direzione di un tramonto che batteva e infuocava, con lampi di rosa forte e azzurro, i tetti e il cielo. Neanche un po’ di freddo. Tutto bruciava quel giorno e prese la strada di casa con la piacevole sensazione di possedere il controllo, pur non capendo il senso, di quell’incendio.
 continua...

martedì 1 febbraio 2011

Non so

Il volo Ryanair di ritorno da Valencia era iniziato in un'atmosfera caciarona. Avevo quasi dimenticato quanto fosse simpatica quell'ambientazione da mercato rionale che contraddistingue i voli Ryanair, soprattutto se popolati da italiani, fra l'altro terroni, e in second'ordine da spagnoli.
In effetti, tutti gli ultimi voli che ho effettuato sono stati da e per la Lettonia: in quei casi ci pensavano i lettoni a dare un contegno alla cosa. Ci pensavano loro, con uno sguardo, a ricordarmi come non ci fosse proprio un cazzo da ridere e curiosare con lo sguardo in un viaggio aereo. Minchia cheppalle.

Stimolato dalla bagarre, dalla nobile pronuncia barese della maggior parte dei passeggeri e dalla nuova straordinaria offerta di dromedari della Ryanair, mi tuffai nella lettura del Corriere della Sera comprato all'aeroporto di Valencia. E vabbè, quando uno non c'ha un cazzo da leggere compra anche il Corriere, che volete? Di dormire non c'era speranza: si volava dalle 20.00 alle 22.30, una fascia oraria in cui non penso di aver mai chiuso gli occhi nei miei 30 anni di vita.

In Spagna il Corriere esce in versione ridotta, sia come formato che come numero di pagine: in pratica ha il 40% di fuffa in meno, circa un paio d'alberi.
Dopo essermi accertato che non ci fossero articoli di Battista e Ostellino, la gocciolina di sudore freddo si è asciugata e mi son sorbito un affilatissimo editoriale di De Bortoli, ma solo per vedere l'effetto che fa, poi letto tutto quello che c'era da leggere sull'Egitto, lo sport, Rutelli, le previsioni del tempo. La lettura non è stata fluida un po' per il font microscopico, un po' perché ero sinceramente incuriosito dal co-pilota che l'hostess della Ryan stava cercando di vendermi.

Infine, non mi era rimasto che il sondaggio di Mannheimer. "Quanta fiducia hanno gli italiani in Berlusconi?"
In sostanza risultava che la fiducia degli italiani nel premier è crollata: ben il 70% non ne ha, a fronte del 28% che invece si affiderebbe corpo e anima alle sapienti mani del cazzaro. Comunque troppi, direte voi. Ma in realtà, non sono stati questi due i dati che mi hanno stupito, in un senso o nell'altro.

La percentuale che mi ha decisamente scioccato è stata il 2% di "Non so". 
Ma come "non so"?
Cioè: 16 persone su 800 (totale delle risposte al sondaggio) avrebbero bisogno di un altro pochino di tempo per farsi un'idea. Hanno bisogno di rifletterci ancora un po'. "Scusate, sapete: un paio di decenni non mi sono stati sufficienti. Ancora un aiutino?"
Dico, non è che dovete odiarlo per forza. Amatelo, ma tranquilli davvero. Ma "non so " cosa?

Poi potrebbe essere che sia gente alla quale non sbatte nulla di tutto ciò: tipo potrebbero essere dei cozzaroni che alla domanda del sondaggista hanno risposto "ce cazze me ne futt'ammè", elegantemente traslato poi in un "non so".

Potrebbero essere anche persone in attesa di un bonifico.

A me, tuttavia, piace immaginarle pacioccone e bonaccione. Totalmente indifese. Con i pantaloni tirati su alla Fantozzi se sono uomini, con calze smagliate e gonne sdrucite se son donne. Che guardano la nostra agitazione con ammirata compassione. Loro, che compatiscono anche Gasparri.
Non hanno mai avuto tempo di pensare se avere fiducia o no nel premier. Sono già abbastanza terrorizzati al supermercato quando devono scegliere il dentifricio.
Ecco, se fossero su un volo Ryan spenderebbero le mila euro solo per non arrecare dispiacere alle hostess.

In questa loro esistenza soffice, l'unica cosa che vorrebbero davvero è che facessimo meno rumore. E che la pasta non gli venisse sempre scotta.

Basterà altro tempo per fargli capire se avere fiducia in Berlusconi? Devo essere sincero:

Non so.