giovedì 6 gennaio 2011

Riabituarsi

Ci sono domande che ti fanno secco. 

Per anni non ci hai fatto caso, dando risposte in automatico. Eri bambino, al massimo un ragazzo.

Poi, per anni, non le hai dovute subire, se non saltuariamente. Erano diventate episodi e come tali potevano essere messi da parte abbastanza velocemente, con una battuta o un motto di spirito.

Ora sono di nuovo la regola. Provvisoria, ma sempre regola.

Tu stai li, seduto col culo che scivola a malapena sul cuscino della sedia, burpeggi e tieni le mani sulla pancia calda e indaffarata. Senti la papagna arrivare. Davanti a te, una tavola imbandita e consumata, con la fatica del gusto.

A quel punto arriva la domanda, leggera come una farfalla e pungente come un'ape (cit.). Sai che sta arrivando ma non ci puoi fare nulla, tramortito come sei. L'unica azione consentita e' strabuzzare gli occhi. E un conato.
La domanda arriva: ineluttabile e affilata come un coltello, dagli occhi fissi, allucinati e maniacali di tua madre:

"E per domani a pranzo cosa ti cucino?"
Conato.

E per il pranzo del 29 aprile?

E per il 5 giugno?

E il giorno del mio funerale, cosa vorro' mangiare?

1 commento:

  1. Come hai ragione.
    Lo scrisse QdG nell'ultimo post. Farsi più piani di quanti ne abbia fatti Monicelli in due secondi.

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